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Description

In Lausanne [ma Livorno], s.n. [Giuseppe Aubert, tipografia Coltellini], [1765] MDCCLXV, Prima edizione definitiva, la terza in ordine di tempo, la seconda sorvegliata dall'autore. È anche la prima in cui compare l'antiporta figurata voluta dallo stesso Beccaria. Ottimo esemplare, molto fresco (solo qualche fascicolo lievemente brunito in maniera uniforme) e in barbe (mm 180x120), in cartonato d'attesa. Variante B recante al frontespizio la vignetta con una bilancia in equilibrio su una spada spezzata, all'interno di una cornice di fronde d'olivo. Le intricatissime vicende che portarono alla stampa dell'edizione definitiva del capolavoro di Beccaria sono state ricostruite con grande perizia da Luigi Firpo, e basterà dunque qui toccare alcuni punti chiave. Innanzitutto l'editore, non indicato al frontespizio: come per la prima edizione del 1764, Beccaria si rivolse alla tipografia di Marco Coltellini, guidata da Giuseppe Aubert "intelligente e colto direttore dell'azienda tipografico-editoriale livornese" (Firpo, p. 373), la stessa che nel 1763 aveva dato alle stampe le "Meditazioni sulla felicità" di Verri. Il falso luogo di stampa "Lausanne" fu ovviamente indicato per evitare problemi di eventuale censura. In quanto alla data, sappiamo che nel gennaio del 1765 l'edizione del testo era ormai pronta, essendo già state recepite tutte le revisioni e soprattutto le aggiunte di Beccaria, significativamente segnalate tra asterischi. E tuttavia, due fatti contribuirono a ritardare l'uscita del volume: in primo luogo, pensando di fare gradita sorpresa all'autore, Aubert inserì alla fine del testo il "Giudizio di un celebre professore", vale a dire Giovan Gualberto De Soria, professore di dialettica e fisica all'Università di Pisa. Ma lo fece maldestramente, Beccaria si infuriò, e Aubert fu costretto a rimettere mano sull'impaginato, aggiungendo alcune carte (da qui le irregolarità nella numerazione delle pagine). In secondo luogo, nei primi giorni dell'anno erano uscite a Venezia le "Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene", violenta invettiva del monaco Ferdinando Facchinei. In pochi giorni i fratelli Verri allestirono e pubblicarono una difesa dell'opera di Beccaria, che Aubert decise di ristampare nella terza edizione di "Dei delitti e delle pene", ormai quasi pronta. Al termine delle vicende ricordate, l'edizione definitiva del capolavoro di Beccaria vide finalmente la luce il 15 marzo 1765. La bellezza dell'edizione di quest'opera fondamentale nella storia del pensiero occidentale è accresciuta dalla presenza dell'antiporta figurata, potremmo dire autoriale anche, perché fu incisa in rame seguendo le precise indicazioni offerte da Beccaria: "Mi farò premura di mandarle unitamente uno schizzo di disegno dell'idea che metterei per frontespizio [cioè l'antiporta], giacché vedo esser tale il di lei desiderio", scriveva l'autore ad Aubert, per poi continuare: "Esser dovrebbe dunque un manigoldo con una mano pendente che tiene un involucro di corda da cui pende una taglia ed una sciabola abbassata, e coll'altra mano terrà per la ciocca dei capelli due o tre teste recise grondanti; che le presenta alla Giustizia, la quale, col destro braccio teso in atto quasi di respingere il manigoldo e colla sinistra mano quasi nascondendo per orrore il suo volto dal medesimo, si rivolge e guarda la sua bilancia" (cit. da Firpo, pp. 412-3). Beccaria volle dunque che la critica radicale alla pena di morte, il lascito forse maggiore della sua opera, fosse addirittura esplicitata per immagini fin dall'apertura del libro. Stand@ a quanto rilevato da Firpo, questa variante B risulta più rara della A. Firpo, Dei delitti e delle pene (Ed. Nazionale), pp. 544-547. in 8°, legatura coeva in cartonato alla rustica con due nervi passanti in pergamena, taccetta con titoli manoscritti al dorso, pp. [2] 141 [1 bianca] [2 "Risposta a uno scritto" e bianca] 135-229 [1 bianca], [1] tavola in antiporta illustrata sulle indicazioni de.

About Dei delitti e delle pene

Cesare Beccaria's seminal work, "Dei delitti e delle pene," translated into English as "On Crimes and Punishments," marks a monumental shift in the landscape of criminal justice and criminology. Published in 1764, this groundbreaking treatise laid the foundations for the modern criminal justice system, advocating for the reform of the legal and penal system in a manner that was radically ahead of its time. Beccaria's ideas not only influenced the development of criminal law in Western Europe but also had a profound impact on the Enlightenment philosophers of his era. This essay delves into the core themes, arguments, and enduring legacy of "On Crimes and Punishments," highlighting its significance in the annals of legal and philosophical thought. At the core of Beccaria's argument is the assertion that the system of punishment should be guided by rationality, humanity, and the principle of justice rather than by the severity of torture or the arbitrariness of the judges. Beccaria challenges the traditional practices of the criminal justice system of his time, which often involved torture and capital punishment, arguing that the purpose of punishment should be to deter crime and reform the offender, rather than to exact revenge. This represented a radical departure from the prevailing judicial practices, rooted in a belief in the innate rights of individuals and the importance of a proportional response to crime. Beccaria posits that the certainty of punishment, rather than its severity, is more effective in deterring crime. He advocates for a system where laws are clear and widely known, ensuring that individuals can understand the consequences of their actions. This principle underscores the importance of a legal system that is transparent, predictable, and fair, in which punishments are not only just but also necessary and logically connected to the crimes they are meant to deter. One of the most revolutionary aspects of Beccaria's work is his staunch opposition to the death penalty and the use of torture. He argues that the state does not have the right to take lives and that capital punishment is neither a useful deterrent nor morally justifiable. Beccaria's arguments against torture are similarly grounded in logic and humanity, emphasizing the unreliability of confessions obtained under duress and the fundamental rights of individuals to be treated with dignity and fairness. The impact of "Dei delitti e delle pene" on the development of legal thought cannot be overstated. Beccaria's ideas were instrumental in shaping the reforms of the criminal justice systems in various European countries, including the abolition of torture and the death penalty in many jurisdictions. His work also influenced prominent figures of the Enlightenment, such as Voltaire and Montesquieu, and contributed to the development of classical criminology and the modern principles of human rights. Beyond its immediate impact, Beccaria's treatise continues to resonate in contemporary debates on criminal justice reform, the ethics of punishment, and the abolition of the death penalty. His advocacy for proportionality, deterrence, and the humane treatment of offenders remains relevant, reflecting enduring principles of justice and humanity.