Prima edizione. Cm.21,4x16. Pg.104, (2 di errata). Modesta legatura ottocentesca in mezza pelle, con piatti marmorizzati. Esemplare a buoni margini. Carte mediamente brunite. Svariate, anonime chiose manoscritte ottocentesche ai margini. Le pagine 99-102 si presentano carta diversa, vergellata, e con inchiostratura differente, in probabile riproduzione fotostatica. In fine è presente la carta con l'"Errata Corrige": Questi sono gli errori più importanti trascorsi per difetto del manoscritto, gli altri può facilmente il Lettore correggerli da sé".
Edizione originale di uno dei capisaldi della cultura contemporanea, opera in cui, tradizionalmente, per la prima volta viene messa in discussione la pena di morte, e che ebbe significativa importanza nella stesura, pochi anni dopo, della ''Dichiarazione dei diritti dell'uomo". E ad essa, ed ai commenti successivi di Voltaire, Diderot ed altri, si ispirarono chiaramente i principi riformatori che, in Europa e nel Nord America, contrassegnarono la seconda metà del secolo dei lumi ed il successivo XIX secolo. Ne è autore il giurista ed economista milanese Cesare Beccaria (1738-1794), che dopo gli studi compiuti a Parma presso i Gesuiti si avvicinò alle idee illuministiche, iniziando a frequentare l'ambiente dei fratelli Verri, che lo spinsero a realizzare il presente fondamentale testo.
"Tra i massimi rappresentanti dell'illuminismo italiano, la sua fama è legata al trattato "Dei delitti e delle pene" (pubblicato anonimo a Livorno nel 1764), che pose le fondamenta della scienza criminale moderna. Beccaria fonda i criteri per la misura dei delitti e la proporzione delle pene sui principi della filosofia illuministica francese e sulla teoria contrattualistica (in particolare di J. Locke) e utilitaristica: egli intende quindi il delitto come violazione dell'ordine sociale (e del primitivo "contratto") e la pena come una difesa di questo: di qui la polemica contro la pena di morte "né utile né necessaria" e in contraddizione con il principio contrattualistico (giacché nessuno ha rinunciato al diritto alla vita)" (da "Enciclopedia Treccani"). "Il tenore talvolta dirompente (la distinzione tra reato e peccato causò la messa all' Indice dell' opera nel 1766) dei concetti presenti nel trattato suscitarono un vasto dibattito in tutta Europa, ma rese consigliabile al Beccaria di mantenere, in un primo tempo, l'anonimato, onde evitare problemi con le autorità. Si spiega così l'assenza di ogni riferimento all'autore sul frontespizio della prima edizione" (dal sito del ministero degli Affari esteri).
Firpo, "Le edizioni italiane del "Dei delitti e delle pene", 1. Bessler, "The Italian Enlightenment and the American Revolution", Journal of Public Law and Policy, XXXVII. Einaudi, 380. 300 gr.